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  • enrico pozzi

Tanto per partire

Tanto per partire, cos’è per me Endecameron.

L’Undicesimo Giorno, il giorno dopo la fine delle storie. Per dieci giorni, con metodo, le storie avevano tenuto fuori il disordine del mondo – la Peste fuori dalla villa di Fiesole. Adesso è il giorno dopo. Alla pienezza delle narrazioni segue il vuoto. Non ci sono più trame e orditi a organizzare la vita. Ogni cosa, segno, emozione o corpo perde forma. Frammenti di oggetti cercano caoticamente forme nuove, a caso, per tentativi ed errori. Nessuno sa già che cosa accadrà.

L’Undicesimo Giorno è il momento dell’Informe. Si perdono i confini e le strutture. Entità impreviste e abnormi si configurano. Le classificazioni che davano ordine, le storie con le loro logiche interne, le opere con la loro compiutezza fanno spazio all’ibrido come minaccia e come speranza. L’impuro sporca la tranquillità compiaciuta della purezza. C’è confusione sotto il sole, o meglio sotto la luna.

Si torna alla Origine, quando ogni invenzione ridiventa possibile e la trasformazione domina la realtà. L’Undicesimo Giorno è costretto ad essere origine.

E’ l’inizio delle Metamorfosi di Ovidio, che permeano il Castello di Rocca Sinibalda. In nova fert animus mutatas dicere formas/corpora. A narrare di forme mutate in corpi nuovi mi spinge l’estro.

Mi dà l’idea che l’unico modo di esprimere l’Informe dell’Undicesimo Giorno sia narrare, vivere, mettere in scena, musicare e rendere visive le metamorfosi, ogni cosa che può contenere in sé ogni altra cosa, l’ibrido, il proteiforme, ciò che non sta in una categoria ma tra le categorie.

Per me Endecameron è questo disordine metodico, una formale e rigorosa disciplina dell’Informe. Georges Bataille che commenta Ovidio, e il Castello che guarda e accoglie, con partecipazione e anche ironia, il disfarsi delle forme nella sua forma potente



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