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Rappresentare. Astrarre. Ricorrere. Praticare.(Ologramma 2.0)

Aggiornamento: 28 lug 2020


Seconda parte della serie "Non abbiamo idea di come diventare Internet-based performance artists"


Da olo- (dal greco ὅλος = tutto)

e da -gramma che sta per graph-ma = lettera, linea, segno inciso, incavato

(dal greco γράϕω = scrivere, graffiare, tagliare, intagliare, disegnare, anche scolpire)

Performance, hologram, Una per volta, Stirring, spinning, sweeping, Verena Stenke, Marilyn Arsem, Bob Raymond, Sara Simeoni, Parcae, parche
Verena Stenke, Marilyn Arsem (Photo: Bob Raymond), Sara Simeoni

In termini generici “rappresentazione” è l'azione di parlare o agire per conto di qualcuno o lo stato di essere così rappresentato. Oppure, la descrizione di qualcuno o qualcosa in un modo particolare, metonimico, ad esempio in retorica usando il nome della causa per quello dell’effetto, del contenente per il contenuto, della materia per l'oggetto.

Se si considerasse la forma come la sostanza che si cela dietro le sue stesse qualità, quali sono queste qualità in assenza dell’originale materiale?

Nell’arte ci si avvale di simboli, metafore e allegorie per raffigurare la cosa designata, concetti e astrazioni per dire del concreto. La rappresentazione di una cosa designata consente di interpretarla da un punto di vista altro, spesso illuminante. Tuttavia, può portare a risultati anche indesiderati, in quanto, pur riferendosi alla cosa designata, reale, non è la cosa stessa, l’originale, ma se ne appropria per definirla altrimenti. La rappresentazione di una cosa designata la restituisce, certo, ne offre una nuova lettura, ma è come se, appropriandosene, ne corrompesse l’identità per assumerne una propria, autonoma dalla cosa stessa.


La relazione tra la cosa definita e la sua rappresentazione ha un che di parassitario. Eppure, concentrare lo sguardo sulle cose designate, definite, per dirigersi verso esse, attraversarle e andare al di là delle stesse, permette una qualità della gestione dell’idee sulle loro problematiche a volte sorprendente.


Dirigersi verso la cosa designata, definita, per interpretarla al di là di come appare e si configura ai sensi, fa in modo che la rappresentazione sia la risultante di un'esperienza di o sulla cosa definita, pertanto non di un esercizio di traduzione della cosa stessa.

Prendersi le proprie libertà, astrarsi, ridiscutere le qualità rappresentative di qualsiasi pratica o disciplina artistica, così come l’importanza del prodotto finito e della sua eventuale riproducibilità, consente che l’operazione artistica abbia soprattutto il valore di esperienza.

Il processo esperienziale che si attua all’interno di una qualsiasi ricerca artistica permette a sua volta di registrare una mappatura del problema in essere di una qualsiasi cosa definita (oggetto di studio) per sviscerarlo il più possibile. In questo modo, l’impatto di un’esperienza simili sui processi cognitivi, mentali, anche emotivi, permette l'acquisizione di conoscenza e comprensione, poiché coinvolge il pensiero, la memoria, la capacità di discernimento e di soluzione dei problemi.


Se l’astrazione è utile nell’identificazione delle caratteristiche comunemente intese delle cose definite, isolare le caratteristiche comuni tra cose diverse è essenziale per apprendere dall'esperienza e contrastare la norma, ridurre il contenuto informativo di un concetto al fine di conservare solo le informazioni rilevanti per uno scopo particolare. In questo senso, in arte, astrarsi, è anche un atto di disobbedienza poetica.

Se nella terminologia filosofica, l'astrazione è il processo mentale in cui le idee sono distanziate dagli oggetti, realizzare un’operazione artistica che si astrae dalla materialità dell'oggetto alla quale si riferisce, ma che cerca una certa fluidità d'esperienza in rapporto all’oggetto stesso, è una questione piuttosto complessa.


Confinati nel digitale, affidarsi all’ologramma per restituire la cosa designata può essere vista come una soluzione o un rimedio alle difficoltà di essere concretamente presenti (persone fisiche e cose designate). Allo stesso modo è anche un fallimento dichiarato.

Confinati nel digitale, affidarsi all’ologramma per restituire la cosa designata può essere vista come una soluzione o un rimedio alle difficoltà di essere concretamente presenti (persone fisiche e cose designate). Allo stesso modo è anche un fallimento dichiarato.


L’ologramma, pur riproducendo la forma dell’oggetto, lo dematerializza e pertanto interroga la valenza della sua sostanza materiale. Ad esempio, se si considerasse la forma come la sostanza che si cela dietro le sue stesse qualità, quali sono queste qualità in assenza dell’originale materiale? Oppure, se la forma è il sé esteriore dell’originale, e la sostanza il sé interiore, la riproduzione olografica dell’originale, svuotandolo o negandone la sostanza, che cos’è? Una forma fine a se stessa e non riferibile ad altro se non al ricordo dell’originale?

Eppure, qualsiasi siano le domande che ci si voglia porre, l’ologramma realizza pur sempre un qualcosa di compiuto. Permette all’oggetto-originale di comunicare diversamente. Si avvale di esso e lo riproduce formalmente per via di un’azione temporanea, specifica, performante, ricorrendo a byte, pixel, fasci di luce provenienti da una fonte energetica, e che i sensi umani percepiscono come immateriali. Tolta la fonte, finisce il gioco. L’immateriale è di nuovo nel buio, nel vuoto, il vuoto stesso, ma le questioni dell'immaterialità e del vuoto sono enigmi stimolanti che pongono nuove domande a ogni tentativo di risposta. Almeno per noi performer. È quindi possibile parlare di immaterialità e visibilità all'interno di uno stesso discorso così come nello spazio performativo e in quello virtuale? Se l'immateriale può essere sperimentabile, almeno in parte, con l'intelletto, è del tutto impossibile sperimentarlo con il corpo? Se si interpretasse l’ologramma come un rilievo di luce fredda che si frappone ad un vuoto infinito che risucchia, in modo tale da limitarlo, per quanto immaterialmente, con una mappatura dei suoi ipotetici confini, questi stessi confini possono in qualche modo essere esperiti col corpo in modo tale da poter essere poi “praticati”?


 

Non abbiamo idea di come diventare internet-based performance artists



Andrea Pagnes & Verena Stenke (VestAndPage)

Per Endecameron20 digital edition

22 luglio 2020

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